martedì 6 marzo 2018

Riconoscere le cose feroci


L’atteggiamento di chi parla del 4 marzo come di un "fascismo che non sfonda" sembra molto simile a quello di chi liquida il global warming con “ma quale riscaldamento globale, questo weekend è stato freddissimo!”.

Come se la desertificazione politica non fosse un processo fatto di percorsi lunghi e stratificati, come se il pericolo fascista fosse esclusivamente relegato alla presenza di Casa Pound e Forza Nuova nella competizione elettorale. Come se questa presenza non fosse funzionale proprio a rendere apparentemente più tollerabili partiti come la Lega di Salvini, come se il compito principale delle formazioni neofasciste non fosse proprio quello di spostare l’asse del discorso pubblico contribuendo a peggiorare il clima generale, come se il fascismo fosse solo quello nostalgico e stereotipato e non multiforme e capace di aggredire tematiche eterogenee.


Un dato che sicuramente emerge nella complessità dei significati che ci restituiscono i risultati del 4 marzo è, ancora una volta, l'utilizzo dell'estrema destra da parte del capitalismo per governare la crisi e le contraddizioni sociali. 

Gli esiti del voto non vanno sottovalutati, lo scriviamo da Macerata, la città che il 10 febbraio ha visto scendere in piazza trentamila persone contro fascismo e razzismo e che ora vede la Lega al 21%. Ma occorre anche rifiutare una loro banalizzazione, questi risultati hanno radici profonde, politiche e culturali, e non possono essere liquidati come un bug del sistema ma piuttosto ne sono una parte integrante. 

E' necessario riconoscere l'affermazione elettorale della Lega come espressione politica delle dinamiche fasciste e razziste presenti nella società italiana, nell’onda lunga della Far Right europea.

Non è sul terreno della competizione elettorale che si batte ciò che oggi la Lega rappresenta, ma sul campo più arduo di una battaglia sociale e culturale di lunga durata capace di rovesciare il piano inclinato dell'ordine del discorso fascioleghista. Nel frangente più drammatico, che i fatti di Firenze ci fanno tornare alla mente, i movimenti hanno dimostrato di saper interpretare la portata della sfida e determinare un'ampia e diffusa reazione sociale.

Siamo solo all'inizio. 

Crediamo che solo i movimenti, con le loro ricchezze e peculiarità, abbiano "la forza di trasformare perché essi sono già cambiamento in atto, fuori e dentro se stessi. I movimenti cambieranno il futuro perché hanno la forza, qui ed ora, di cambiare il presente".

Vi aspettiamo sabato prossimo ad Ancona, ora più che mai.