venerdì 6 novembre 2020

Coprifuoco, un'imposizione che grida vendetta


Quando è stata annunciata dal Presidente del Consiglio Conte l’entrata in vigore del nuovo DPCM in data 5 novembre abbiamo pensato si trattasse di un macabro omaggio alla celebre opera di Alan Moore: “Ricorda per sempre il 5 novembre… il giorno dell’entrata in vigore del coprifuoco nazionale”. Lo slittamento di 24 ore non cambia la sostanza dei fatti: le misure restrittive a colori alterni presenti nel DPCM sono legate insieme dal nuovo provvedimento generalizzato imposto a livello nazionale: il coprifuoco dalle ore 22:00 alle ore 5:00. Da Aosta a Lampedusa non si potrà uscire se non per “comprovate necessità”.

Sull’inefficacia della decisione del governo da un punto di vista della profilassi sanitaria non crediamo occorra spendere parole: il divieto di uscire all’aperto nei mesi invernali quando qualunque spazio legato alla socialità o all’aggregazione è già stato interdetto, non può avere alcuna correlazione con il contrasto alla propagazione del virus. E’ sufficiente il buon senso per comprendere come questa misura non abbia nulla a che vedere con la difesa della nostra salute e per riconoscerne il contenuto esclusivamente repressivo e l'unica finalità di controllo sociale. 

Molto si è scritto sul linguaggio di stampo militare che da subito è stato utilizzato per raccontare e codificare la situazione di emergenza sanitaria che stiamo vivendo. Il termine 'coprifuoco' in questo senso richiama non solo ad uno stato di guerra ma è parte della cultura e del retroterra fascista che non ha mai definitivamente abbandonato questo paese. In Slovenia, dove si sono tenute imponenti e radicali manifestazioni contro il coprifuoco, ricordano distintamente come l'ultima volta venne imposto proprio durante l’occupazione italiana. Il coprifuoco evoca una realtà fatta di ronde e intimidazioni, dove ogni mediazione è affidata ai mitra dell'esercito in strada. E a ben guardare tutto questo ha travalicato il piano del simbolico per farsi tremendamente reale. Nel mondo immaginato da Alan Moore - che appare sempre meno distopico (anche se in distopia per certi versi lo supera, se consideriamo che nella storia il virus è frutto di un complotto, mentre nella nostra dura realtà è un fenomeno maledettamente concreto che nasce e si sviluppa in seno al sistema capitalistico) - il coprifuoco è descritto dalla narrazione dominante come necessario 'per il bene della popolazione'. Se vi sembra di aver già sentito questo mantra, non state sbagliando.


Non possiamo infatti non notare come nel “vietare la circolazione nelle ore notturne” sia presente un’atavica paura della notte come spazio del dissenso da parte del potere. L'imperativo di 'coprire il fuoco' è elemento centrale nell'amministrazione dello stato di emergenza da parte istituzionale. Un imperativo che nella sua sperimentazione su scala regionale è già stato sfidato e battuto nelle strade e nelle piazze di Napoli, da cui sono poi propagati i primi sintomi di insubordinazione diffusa.

Questo livello di disciplinamento sociale che sta caratterizzando la gestione politica dell'emergenza è funzionale a mascherare l’assoluta inadeguatezza della classe dirigente sul piano sanitario, sociale ed economico e a prevenire ogni legittima forma di contestazione che punti a chiederne conto. 

L'imposizione del coprifuoco rappresenta un salto di qualità sul piano securitario di estrema gravità e un assoluto inedito in regime di 'democrazia liberale', per questo diventa fondamentale allargare lo spazio del dissenso.

Rifiutare il coprifuoco è quanto mai necessario per mettere in discussione l'intero operato del governo ed impedire che misure fra le più assurde e insensate, in relazione alle gravi condizioni materiali che stiamo attraversando, siano rese accettabili dallo stato di emergenza.

Non troveremo nessun V in strada per i vicoli bui e deserti a proteggerci, tutto dipenderà dalla nostra capacità collettiva di difendere il diritto a una vita libera e degna, per preservare un futuro il più lontano possibile da quel produci, consuma, crepa che vorrebbero imporci.